Chiesa di San Giovanni Battista

La Chiesa di San Giovanni Battista costruita nell’XII secolo, sorge al centro del Borgo Medievale. Il suo campanile è uno dei simboli di Sacrofano

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Descrizione

La chiesa sorge sul percorso principale, oggi via di Mezzo, a seguito della fortificazione del primo nucleo abitativo verso monte, il “Castello”, intorno all’anno Mille.

Le prime citazioni della Chiesa di San Giovanni, insieme alle chiese di S. Maria, S. Biagio e S. Lorenzo, si trovano nella bolla di papa Giovanni XIX del 1027 e poi in quella di papa Benedetto IX (1032- 1045), in cui si nominano i titoli delle pievi e delle chiese subordinate di pertinenza del vescovo della diocesi di Silva Candida (Selvacandida).

Un’altra menzione delle stesse chiese si trova nella bolla di papa Giovanni IX del 1236 per Selvacandida.

Verso la fine del 1300 si ha la realizzazione di una cinta muraria che ingloba la chiesa di San Giovanni Battista e inizia lo sviluppo dell’edilizia interna.

Dalle poche fonti storiche che si hanno a disposizione, integrate soprattutto con lo studio delle murature, possono essere individuate varie fasi costruttive della chiesa, per cui l’ipotesi è che il primo nucleo fosse costituito da un’aula trapezoidale (coincidente con la prima porzione in entrata della chiesa) e vedeva anche la presenza del campanile, databile al XIII secolo, costituito da blocchi di tufo perfettamente squadrati.

Col sopraggiungere degli Orsini (seconda metà del XIV secolo) che realizzano forse già alla fine del XIV secolo il grandioso torrione retrostante la chiesa di San Giovanni, si hanno nel corso del ‘400 e proseguono nel ’500 delle modifiche strutturali. E’ in questa fase che il torrione orsiniano viene accorpato al primo nucleo della chiesa ricavandone un ulteriore spazio aggiuntivo che sarà dedicato all’abside con l’arco trionfale e le lesene in tufo con gli stemmi Orsini scolpiti e dipinti e con un ampliamento maggiorato anche sul fianco destro che darà luogo ad una cappella absidata, determinando l’attuale forma asimmetrica della chiesa, distorta per l’accostamento di murature di epoche diverse. Probabilmente in questa stessa fase viene sistemata la facciata principale della chiesa portandola a filo del campanile e viene scandito lo spazio interno creando a destra un lungo ambulacro che va rastremandosi e in cui si trovavano in successione quattro altari.

  • Campanile

Il campanile, realizzato in conci di tufo perfettamente squadrati, aveva in basso un piano di monofore ad arco acuto e, a salire, tre piani di bifore con colonnina mediana e un cornicione in alto formato da una serie di dentelli tra filari orizzontali di mattoni e una serie di modiglioncini marmorei, come testimoniano l’immagine dipinta del borgo antico sostenuto da Sant’Emidio e presente all’interno della chiesa, nonché alcune fotografie precedenti al 1940. In origine il campanile scandiva le ore con il solo rintocco delle campane tirate a corda. Qui venne portata la campana proveniente dalla tenuta di Pietrapertusa, dalla stessa sua comunità all’indomani dell’abbandono di questa area. Questa venne fusa proprio ai tempi di Cola di Rienzo, quando si aspirava all’antica grandezza del popolo romano e in ricordo della libertà di Roma e degli stati della chiesa dall’anarchia e dalla tirannia dei principi, grazie all’intervento dell’esercito del Papa agli ordini del cardinale Albornoz. La campana reca fusa l’invocazione al santo protettore Biagio e la data 12 marzo 1357 con una scritta che recita “in onore di Dio e a ricordo della liberazione della Patria” , dai romani Nello e Cianolo.

Suonò fino al 1799 e poi si ruppe e venne calata a terra all’interno della chiesa dal mastro muratore Pavolo Tacchi.

Come molti campanili di età medievale, subì poi varie trasformazioni. L’aggiunta dell’orologio con un sistema meccanico a pesi e pendolo che scandisce le ore si deve ai Chigi agli inizi del 1700 ( è ancora presente nella torre campanaria). Sul meccanismo a pesi è scritto “ dono rever, oliva gener. pro domo – probationis soc. iesu – ioan. wendelinus : essler maguntinus – germ. faciebet romae mdclxxxi ( 1681).

I due quadranti esterni sulle due facce del campanile sono opera moderna, aggiunti per la visibilità delle ore.

Nel pomeriggio della domenica del 3 maggio 1942, in occasione della festa popolare in onore di San Biagio, un fulmine di eccezionale potenza si abbatté sul campanile provocando importanti lesioni sulla porzione superiore. Solo dopo la guerra furono condotti i restauri. La parte superiore del campanile fino al primo piano delle campane venne completamente demolita e rifatta. Il suono delle campane venne ripristinato il 15 agosto 1949.

Dal 1977 le campane non suonano più.

 

Immagine che contiene aria aperta, orologio, torre, edificioDescrizione generata automaticamente

 

  • Interno della Chiesa

La conca absidale mostra un pregevolissimo dipinto rappresentante la Vergine che ascende al cielo trasportata dagli angeli e circondata dai Santi. E’ di chiaro ambito romano, databile alla metà del Seicento. Interamente dipinto ad affresco da autore ignoto, per lo stile rilevato si inserisce nel pieno barocco romano. L’opera è frutto di una committenza colta e attenta, da annoverarsi tra le grandi famiglie romane detentrici del controllo e della gestione delle terre a nord dell’Urbe quali sono stati gli Orsini, presenti su questo territorio dal XIV secolo e ai quali subentrarono a partire dal 1662 i Chigi. E’ probabile che l’affresco sia stato commissionato sotto il governo di Paolo Giordano II Orsini, uomo colto, noto per l’eleganza del gusto, l’amore per l’arte, mecenate e collezionista. Morì nel 1656.

La Vergine è dipinta nella porzione alta e centrale dell’abside, è assisa su un trono di nubi, ha le braccia alzate lo sguardo estasiato è rivolto verso lo Spirito Santo che un tempo doveva essere dipinto sull’antistante controsoffitto ligneo.

Sotto l‘Assunta, una serie di angeli e santi, alcuni di dubbia identificazione, assistono all’evento, disposti ad emiciclo su più livelli, in un simbolico coro celeste i cui scranni sono costituiti da nuvole. Si tratta di una vera e propria “sacra conversazione”. Sono riconoscibili a sinistra San Giovanni Battista, titolare della chiesa e a destra San Biagio vescovo, con il pettine del martirio, patrono di Sacrofano. L’immagine dei tre santi, Maria, San Biagio e San Giovanni sono anche l’omaggio simbolico di chiara allusione alle tre chiese del territorio sacrofanese, di cui la terza Santa Maria in Valle è oggi ridotta a rudere. Le tre chiese erano molte attive al tempo degli Orsini. Seguono nell’abside San Liborio, protettore dei reni e delle vie biliari con in mano i calcoli renali, San Carlo Borromeo (morto nel 1584 a 46 anni), canonizzato nel 1610 e soccorritore degli ammalati nei tempi duri delle pestilenze di fine XVI e, più a destra, un giovane santo che tiene alla catena un cane, forse San Vito e al suo fianco un abate dall’abito benedettino, la cui presenza può essere giustificata dal fatto che gli Orsini furono a lungo abati commendatari dell’Abbazia benedettina di Farfa.

Il restauro dell’affresco è stato finanziato dal Ministero dei Beni e Attività Culturali per conto della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l'area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l'Etruria meridionale. Si è concluso agli inizi del 2018.

Un controsoffitto ligneo chiude alla vista il tetto a capriate. Il tavolato ligneo è inchiodato dal basso a travetti le cui terminazioni si inseriscono nella muratura delle pareti laterali e a loro volta sono sostenuti da una serie di “cravatte” metalliche ancorate all’orditura del tetto a capriate. L’atteggiamento della Vergine che guarda verso l’alto allargando le braccia denuncia un diretto legame con ciò che era dipinto sul soffitto in prossimità dell’arco trionfale, l’immagine raggiata dello Spirito Santo su un fondo celeste, color dell’aria. Il monogramma della Vergine inscritto in un campo circolare è dipinto a tempera sull’estremità opposta del controsoffitto. Attualmente il soffitto appare scurito dalla presenza di una tinteggiatura risalente agli anni cinquanta del XX secolo che ha risparmiato il monogramma di Maria, ma dai lacerti di colore in origine doveva essere ceruleo, creando un senso di leggerezza.

Al centro del soffitto è presente una cornice lignea parzialmente dorata che delimita lo spazio del tavolato in cui in passato doveva trovarsi una tela riportata e di cui attualmente restano inchiodate sul supporto ligneo le sole due immagini recuperate e ritagliate dei due santi patroni di Sacrofano, San Giovanni Battista e San Biagio. E’ probabilmente coeva al soffitto (XVII/XVIII secolo).

Al di sopra del controsoffitto, nell’estradosso, sulla parete timpanata dell’arco trionfale, si trovano bellissimi dipinti murali che ritraggono puttini che giocano con un drappo ai lati di una finestra circolare decorata da una ghirlanda di fiori, frutti e ortaggi. Sono dipinti precedenti alla decorazione dell’abside, occultati definitivamente alla vista con la realizzazione del controsoffitto ligneo ma che si legano stilisticamente alla decorazione cinquecentesca emersa sul tamburo dell’abside.

Nel 2019, con un contributo della Curia di Civita Castellana, il controsoffitto è stato messo in sicurezza e l’ambiente del sottotetto è stato bonificato dalla presenza di materiale di risulta qui ammassato negli anni e dal deposito di circa 750 kg di guano di piccione. Nella stessa occasione sono stati messi in sicurezza i dipinti presenti sulla porzione della parete dell’arco trionfale.

Sotto l’altare marmoreo, consacrato dal vescovo Amatis il 7 ottobre del 1515 sono conservate in un’urna le ossa di San Giustino. L’altare fu rifatto poi nel Settecento, forse in occasione della deposizione delle ossa del santo. Su un foglio posto accanto alle reliquie si legge “Corpo di San Giustino martire in Cristo esumato dal cimitero di San Marcello al XIII miglio della via Flaminia. Anno 1724”. Si tratta dei “corpi santi” scavati nel periodo chigiano, come è riportato negli archivi dei Chigi per le note di spesa per lo scavo. Inserito nel pavimento, in entrata, si trova lo stemma del Cardinal Gasparri, proveniente dal pavimento della chiesa di San Biagio e qui inserito a seguito degli interventi di restauro nel 1956.

Nel secondo vestibolo sulla parete sinistra della chiesa, oltre alla campana del XIV secolo si trova un pregevole crocifisso ligneo probabilmente del XIX secolo.

Nel vestibolo adiacente si trova un altare ligneo dorato e dipinto, con annesse diverse reliquie in urne di vetro, donato dalla famiglia Gasparri alla chiesa di san Giovanni negli anni Ottanta del XX secolo. L’altare proveniva dalla cappella privata della famiglia ad Ussita, nelle Marche e qui acquistato nel 1956. Di pregevole manifattura è il paliotto dell’altare in cuoio dorato e dipinto, finemente lavorato, mentre la Vergine Velata dipinta su tela sembra una riproduzione di analogo soggetto del noto artista seicentesco Giovan Battista Salvi, detto il Sassoferrato (XVII secolo).

Ancorato alla parete muraria sinistra si trova un pulpito ligneo intarsiato, datato al 1641.

L’accesso era dalla sagrestia, tramite delle scalette, ma in seguito fu tamponata l’uscita al pulpito.

Nella nicchia timpanata sul fianco sinistro dell’abside è inserita la scultura lignea policroma di San Sebastiano, risalente probabilmente al XVIII secolo.

Nella zona presbiteriale è collocato un dipinto su tela con cornice lignea ovale dorata a mecca rappresentante Sant’Emidio, protettore dai terremoti, che sostiene sul palmo della mano il paese di Scrofano, ben definito nei suoi edifici del XVIII secolo. La presenza di un santo marchigiano può essere collegata alla presenza a Sacrofano di una fitta comunità marchigiana già dal passato.

Sul primo altare di destra si trova inserito nell’edicola un dipinto su tela rappresentante Cristo Nazareno, con lo scapolare al collo, databile probabilmente al XIX secolo, mentre nella seconda edicola è dipinta su muro la Pentecoste, opera di ambiente romano probabilmente del XVII secolo.

La terza edicola reca una nicchia nel muro, attualmente dipinta con cielo stellato, in cui veniva collocata la scultura lignea della Madonna Addolorata, probabilmente del XIX secolo, che ogni venerdì santo, precedente alla Pasqua, ancora oggi viene portata in solenne processione nelle strade del paese per incontrarsi col Cristo morto.

Nell’abside della cappella laterale, a destra dell’altare principale, è dipinta su muro la scena della Pietà. L’opera è databile tra XVI e XVII secolo.

Un tabernacolo marmoreo in chiaro stile rinascimentale, dorato e dipinto, si trova incastonato nel tamburo dell’abside, al centro. Reca la scritta “ HIC EST PANIS QUI DE CAELO DISCENDIT”. Tra i numerosi simboli annessi al martirio di Cristo, in basso nella zona centrale appare scolpito anche lo stemma D’Aragona-Orsini (Gentil Virginio Orsini D’Aragona) che data l’opera alla seconda metà del Quattrocento.

Del pavimento originario settecentesco resta solo la porzione antistante l’altare in mattoni in cotto con profilo della soglia in travertino.

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Ulteriori informazioni

Bibliografia:

  • “Corso di Restauro Architettonico II – A.A. 1993-1994. Università degli studi di Roma “La Sapienza” – Facoltà di Architettura. Prof. S. Marani, Arch. Turco, studenti: C. Malito, C. Mele, A. Salvi ; Tema: Chiesa di San Giovanni Battista (Sacrofano)”.
  • “Architettura in Provincia. Il centro storico di Sacrofano. A cura di Enrico Guidoni e Pia Pascalino” – Roma: Storia/Immagini/Progetti collana diretta da Enrico Guidoni. Architettura, luogo. Progetto.II – Edizioni Kappa
  • Sacrofano. Territorio, storia e tradizioni. Susanna Feriozzi, Renato Rovagna, Sabrina Sanetti. Edizione a cura del Comune di Sacrofano. Dicembre 2000.

Pagina aggiornata il 03/12/2024